NUOVE INTERPRETAZIONI DELLA STATUA DELL'EMIGRANTE
La statua all’emigrante di Asiago è stata realizzata dagli artisti Aurelio Forte Laan, Mauro Bocchia, Martino Chiomento, Francesco Covolo, Massimo Fracaro e Gianangelo Longhini, del Gruppo Arteinsieme dell’Altipiano Vicentino.
Una riproduzione di questo monumento, inaugurato nella vecchia stazione di Asiago nel 1999, è stato impiazzato recentemente nel Settlement Square, presso il Migration Museum in Australia. La realizzazione di questa “copia” ha fatto perdere l’ “áurea” de unicità che possedeva la statua originale, aprendo nuove interpretazioni sulla problematica della migrazione.
Il gruppo statuario rappresenta una famiglia composta da un uomo, tra i trenta e i quarant’anni, una donna un po’ più giovane e un bambino de quattro anni. I semplici abiti sono tipici di contadini o di operai non qualificati. I pochi possessi personali che trascinano, (lui porta una valija e lei un fagotto) sugeriscono una famiglia in viaggio.
Il loro sguardo non si incrocia, è volto verso direzioni diverse, e ciò indica un certo sconvolgimento familiare.
L uomo, mentre con la mano destra impugna la valigia, con la sinistra porta la sua giacca, la cui stoffa si fonde nel vestito della sua donna, sono gli abiti ciò che sembra unire la coppia, la classe sociale ai quali entrambi appartengono e la ricerca di soddisfare le stesse necessità: facendo riferimento a Borges “Mas que el amor los une el espanto” (Più che l’amore li unisce la disperazione).
Il peso del suo corpo e della valigia sul piede destro segnala che sta per fare un passo avanti, verso dove ha lo sguardo. La donna, invece, ha il viso rivolto indietro, sembra quasi non volesse lasciare il suo passato. Questo attimo di sconvolgimento è drammatizzato dal bimbo che è tra loro, tra il futuro che guarda suo padre e il passato verso cui è rivolta la madre, tra il luogo di destinazione e quello di partenza. L’intera famiglia sta lasciando indietro il proprio passato per dover conquistare un futuro ancora incerto.
Un articolo pubblicado in settembre del 1999, intitolato “Per non dimenticare chi è partito”, àncora questa rappresentazione nel grande esodo italiano. “Anche per la gente di montagna sono fortunatamente lontani i tempi in cui bisognaba abbandonare il propio paese, la casa, le persone più care per avere la speranza di un futuro solido di lavoro e benessere enoconomico”.
Diciasette anni dopo, in occasione dell’inaugurazione della “copia” della statua in Australia, lo stesso monumento trova un’altra interpretazione: “Tutti gli oratori: il sindaco di Adelaide, la direttrice del Museo, l’onorevole Stefani, hanno illustrato il grande apporto di lavoro e di progresso dato alla vita del South Australia dagli italiani: grandi lavoratori, ingegniosi, dotati di energie e idee. Gli intervenuti hanno anche ricordato che gli italiani arrivarono con i soli indumenti di lavoro e un fagotto con piccoli oggetti, ma ricchi di speranze e volontà” (Ennio Tessari. Messaggero di Sant’Antonio).
Mentre ad Asiago il monumento fa chiaro riferimento “all’emigrante”, in Australia fa riferimento “all’immigrante”. Ogni interpretazione è determinata, in primo luogo dal “locus” dove è impiazzato, e in un secondo tempo dalle scritte presenti in ogni pedestallo (l’unica differenza formale fra entrambi i monumenti). La prima scritta dice: “Nostalgia e speranza”, la seconda: “Coraggio, orgoglio, sogni, conquiste”. Anche se diversi, entrambi gli scritti presenti fanno riferimento ad un passato remoto. Perché, cosi come “il coraggio e desiderio di conquista” puo essere espresso solo dall’immigrante nel momento in cui, persa la condizione di tale, si sente padrone di casa – il “ricordo nostalgico” è un sentimiento presente in chi non aspetta il ritorno di chi è partito. Entrambe le letture conformano le due facce di una moneta che esalta il valore presente di un passato comune.
Ma c’è un’altra interpretazione, che fa riferimento del presente nel quale è sorta l’emergenza della realizzazione dell’opera. Interpretazione, in questo caso, di somma importanza per il fatto che l’aparizione di questo grupo statuario non è parte di un fenomeno isolato, ma si inserisce in una serie di impostazioni monumentali che da quindici anni sta “popolando” tutti gli spazi pubblici dei paesi del primo mondo. Ma la presenza dell’emigrante no solo è representata in statue e sculture, è anche studiata in saggi, racontata in libri, commentata nei giornali e telegiornali, essendo il fenómeno dell’emigrazione una problemática da molto tempo di discussione quotidiana. L’Italia finiva di espatriare i suoi cittadini verso la fine del ’60, per cominciare a ricevere immigranti dall’estero. E da allora, le centinaia e centinaia di famiglie che continuano ad arrivare stanno non solo cambiando le tradizioni, ma anche la stessa fisonomia degli italiani del secolo XXI. Sono albanesi, nord africani, sud americani, romeni, interi gruppi etnici che, arrivando con quello che indossano, trovano nella “statua del nostro emigrante” la rappresentazione della loro presenza, la scia del loro esodo e il porto del loro arrivo.
Perciò, al di là dei suoi pregi estetici, è la realizzazione della riproduzione ciò che rende paradigmatica quest’opera, nel momento che ha offerto più di una lettura “istituzionalizzata” di se stessa ha inaugurato questa posibilita in tutte le statue di questo genere. Al di là della rappresentazione di emigrati o immigrati è la stessa “azione migratoria” ciò che resta esibita, al di là delle intenzioni dei comitenti ed artisti, è il problema migratorio senza soluzione di continuità ciò che diventa protagonista.
Assieme alla rappresentazione dei miei nonni (partiti nel 1933), di mio zio (nel 1948), vedo quella di mio padre, mia madre e io bambino quando lasciavamo il paese natio o quando sbarcavamo a Buenos Aires (nel 1965). Vedo noi tre lasciare Buenos Aires per ritornare sull’Altopiano (nel 1977) e lasciare l’Altopiano per ritornare in Sud América (nel 1979). Vedo l’intera famiglia appena arrivata dall’Algeria (nel 2006) che abita nello stesso condominio dove risiedo a Verona, come altri gruppi extracomunitari che incontro quotidianamente nella stazione, sugli autubus, come i boliviani e peruviani che incroccio nelly strade di Buenos Aires.
Tanto l’epoca come le nazionalità delle figure passano in secondo piano ed è il ruolo marginale “out side” delle regole stabilite di tutta società organizata, ciò che viene esposto. Oggi, in queste statue “l’azione presente” diventa più importante del soggetto storico rappresentato. Resta in evidenza un determinato “status de transito”. Ciò che è esposto sul pedestallo è il possible “ruolo di passaggio”, talvolta circondato da un cancello per proteggere la società da questo “movimento” anomalo. Decine di pedestalli, al di là delle loro scritte reduttive, espongono, assieme ad un passato glorioso, la minacciante presenza degli attuali emigranti, assieme ai nostri emigranti, le nuove famiglie che stanno arrivando. Sono monumenti che onorano il coraggio de chi immigra e allo stesso tempo denunciano la loro ilegalità. Si esibisce in luogo pubblico, la pretesa di centinaia e centinaia di stranieri di occupare suolo privato.
Anche se di forma controversa e svegliando sentimenti ambigui, solo l’arte ci parla tanto della propria storia quanto dei desideri e paure della nostra civiltà. Questa è una delle sue funzioni e la sua forza. I sentimenti, che di solito e nei migliori dei casi, per decoro o prudenza, non si esprimono nemmeno davanti allo specchio, scivolano da sempre e come sempre attraverso le maschere dell’arte.
"Asiago ieri, oggi e Domani" n.97-98 - novembre-dicembre 2006
Una riproduzione di questo monumento, inaugurato nella vecchia stazione di Asiago nel 1999, è stato impiazzato recentemente nel Settlement Square, presso il Migration Museum in Australia. La realizzazione di questa “copia” ha fatto perdere l’ “áurea” de unicità che possedeva la statua originale, aprendo nuove interpretazioni sulla problematica della migrazione.
Il gruppo statuario rappresenta una famiglia composta da un uomo, tra i trenta e i quarant’anni, una donna un po’ più giovane e un bambino de quattro anni. I semplici abiti sono tipici di contadini o di operai non qualificati. I pochi possessi personali che trascinano, (lui porta una valija e lei un fagotto) sugeriscono una famiglia in viaggio.
Il loro sguardo non si incrocia, è volto verso direzioni diverse, e ciò indica un certo sconvolgimento familiare.
L uomo, mentre con la mano destra impugna la valigia, con la sinistra porta la sua giacca, la cui stoffa si fonde nel vestito della sua donna, sono gli abiti ciò che sembra unire la coppia, la classe sociale ai quali entrambi appartengono e la ricerca di soddisfare le stesse necessità: facendo riferimento a Borges “Mas que el amor los une el espanto” (Più che l’amore li unisce la disperazione).
Il peso del suo corpo e della valigia sul piede destro segnala che sta per fare un passo avanti, verso dove ha lo sguardo. La donna, invece, ha il viso rivolto indietro, sembra quasi non volesse lasciare il suo passato. Questo attimo di sconvolgimento è drammatizzato dal bimbo che è tra loro, tra il futuro che guarda suo padre e il passato verso cui è rivolta la madre, tra il luogo di destinazione e quello di partenza. L’intera famiglia sta lasciando indietro il proprio passato per dover conquistare un futuro ancora incerto.
Un articolo pubblicado in settembre del 1999, intitolato “Per non dimenticare chi è partito”, àncora questa rappresentazione nel grande esodo italiano. “Anche per la gente di montagna sono fortunatamente lontani i tempi in cui bisognaba abbandonare il propio paese, la casa, le persone più care per avere la speranza di un futuro solido di lavoro e benessere enoconomico”.
Diciasette anni dopo, in occasione dell’inaugurazione della “copia” della statua in Australia, lo stesso monumento trova un’altra interpretazione: “Tutti gli oratori: il sindaco di Adelaide, la direttrice del Museo, l’onorevole Stefani, hanno illustrato il grande apporto di lavoro e di progresso dato alla vita del South Australia dagli italiani: grandi lavoratori, ingegniosi, dotati di energie e idee. Gli intervenuti hanno anche ricordato che gli italiani arrivarono con i soli indumenti di lavoro e un fagotto con piccoli oggetti, ma ricchi di speranze e volontà” (Ennio Tessari. Messaggero di Sant’Antonio).
Mentre ad Asiago il monumento fa chiaro riferimento “all’emigrante”, in Australia fa riferimento “all’immigrante”. Ogni interpretazione è determinata, in primo luogo dal “locus” dove è impiazzato, e in un secondo tempo dalle scritte presenti in ogni pedestallo (l’unica differenza formale fra entrambi i monumenti). La prima scritta dice: “Nostalgia e speranza”, la seconda: “Coraggio, orgoglio, sogni, conquiste”. Anche se diversi, entrambi gli scritti presenti fanno riferimento ad un passato remoto. Perché, cosi come “il coraggio e desiderio di conquista” puo essere espresso solo dall’immigrante nel momento in cui, persa la condizione di tale, si sente padrone di casa – il “ricordo nostalgico” è un sentimiento presente in chi non aspetta il ritorno di chi è partito. Entrambe le letture conformano le due facce di una moneta che esalta il valore presente di un passato comune.
Ma c’è un’altra interpretazione, che fa riferimento del presente nel quale è sorta l’emergenza della realizzazione dell’opera. Interpretazione, in questo caso, di somma importanza per il fatto che l’aparizione di questo grupo statuario non è parte di un fenomeno isolato, ma si inserisce in una serie di impostazioni monumentali che da quindici anni sta “popolando” tutti gli spazi pubblici dei paesi del primo mondo. Ma la presenza dell’emigrante no solo è representata in statue e sculture, è anche studiata in saggi, racontata in libri, commentata nei giornali e telegiornali, essendo il fenómeno dell’emigrazione una problemática da molto tempo di discussione quotidiana. L’Italia finiva di espatriare i suoi cittadini verso la fine del ’60, per cominciare a ricevere immigranti dall’estero. E da allora, le centinaia e centinaia di famiglie che continuano ad arrivare stanno non solo cambiando le tradizioni, ma anche la stessa fisonomia degli italiani del secolo XXI. Sono albanesi, nord africani, sud americani, romeni, interi gruppi etnici che, arrivando con quello che indossano, trovano nella “statua del nostro emigrante” la rappresentazione della loro presenza, la scia del loro esodo e il porto del loro arrivo.
Perciò, al di là dei suoi pregi estetici, è la realizzazione della riproduzione ciò che rende paradigmatica quest’opera, nel momento che ha offerto più di una lettura “istituzionalizzata” di se stessa ha inaugurato questa posibilita in tutte le statue di questo genere. Al di là della rappresentazione di emigrati o immigrati è la stessa “azione migratoria” ciò che resta esibita, al di là delle intenzioni dei comitenti ed artisti, è il problema migratorio senza soluzione di continuità ciò che diventa protagonista.
Assieme alla rappresentazione dei miei nonni (partiti nel 1933), di mio zio (nel 1948), vedo quella di mio padre, mia madre e io bambino quando lasciavamo il paese natio o quando sbarcavamo a Buenos Aires (nel 1965). Vedo noi tre lasciare Buenos Aires per ritornare sull’Altopiano (nel 1977) e lasciare l’Altopiano per ritornare in Sud América (nel 1979). Vedo l’intera famiglia appena arrivata dall’Algeria (nel 2006) che abita nello stesso condominio dove risiedo a Verona, come altri gruppi extracomunitari che incontro quotidianamente nella stazione, sugli autubus, come i boliviani e peruviani che incroccio nelly strade di Buenos Aires.
Tanto l’epoca come le nazionalità delle figure passano in secondo piano ed è il ruolo marginale “out side” delle regole stabilite di tutta società organizata, ciò che viene esposto. Oggi, in queste statue “l’azione presente” diventa più importante del soggetto storico rappresentato. Resta in evidenza un determinato “status de transito”. Ciò che è esposto sul pedestallo è il possible “ruolo di passaggio”, talvolta circondato da un cancello per proteggere la società da questo “movimento” anomalo. Decine di pedestalli, al di là delle loro scritte reduttive, espongono, assieme ad un passato glorioso, la minacciante presenza degli attuali emigranti, assieme ai nostri emigranti, le nuove famiglie che stanno arrivando. Sono monumenti che onorano il coraggio de chi immigra e allo stesso tempo denunciano la loro ilegalità. Si esibisce in luogo pubblico, la pretesa di centinaia e centinaia di stranieri di occupare suolo privato.
Anche se di forma controversa e svegliando sentimenti ambigui, solo l’arte ci parla tanto della propria storia quanto dei desideri e paure della nostra civiltà. Questa è una delle sue funzioni e la sua forza. I sentimenti, che di solito e nei migliori dei casi, per decoro o prudenza, non si esprimono nemmeno davanti allo specchio, scivolano da sempre e come sempre attraverso le maschere dell’arte.
"Asiago ieri, oggi e Domani" n.97-98 - novembre-dicembre 2006
3 commenti:
hooola
me parece una posibilidad de relectura de la estatua muy interesante, y que como decis abre la posibilidad a la interpretación de inmumerables monumentos del género tambien en Argentina, me remite a "monumentos al inmigrante que se encuentran en algunos pueblos del interior de los que se dice que son copias de ....un original que esta en Italia" sin mas datos. me parece un buen planteo para realizar una lectura de estas "copias" que son ignoradas por la historia del arte y de gran valor simbolico en los pueblos.
Además el texto es muy lindo. graciela
Gracias Graciela. Si, creo que la Historia del Arte se ocupa de obras que interesan, justamente, a quien escribio tal historia.
Y si analizamos las copias europeas con los parametros de autores europeos (que escribieron sobre las obras originales) nos estamos perdiendo la posibilidad de "leer" e "interpretar" tales obras con nuestra mirada... lo que exige escribir nuestra propia Historia. Beso.
Statua dell'emigrante
Come indicano le scritte sulle due statue di Asiago e di Adelaide, il binomio emigrazione/immigrazione non significa soltanto nostalgia e struggimento, ma anche opportunità, avventura, successo. Anche un tempo probabilmente era così, ma le distanze enormi, i tempi biblici dei viaggi per le persone e per le lettere, il grande divario tra gli stili di vita dei popoli... tutto questo offuscava gli aspetti positivi del cambiare luogo e accentuava la nostalgia.
Quelli che partivano e quelli che rimanevano avrebbero pagato chissà cosa per potersi vedere in faccia o anche soltanto parlarsi per alcuni minuti una volta ogni tanto. Ora tutto questo è possibile: ci si può telefonare (con il computer anche gratis o quasi) e vedersi con una web cam tutte le volte che si vuole, inviarsi per posta elettronica fotografie anche tutti i giorni.
Al punto che, si sa, la possibilità attenua il desiderio. Il rischio ora è quello dell'indifferenza reciproca fra le giovani generazioni. Coloro che hanno vissuto l'esperienza dell'emigrazione – come emigranti o come loro parenti – pian piano muoiono. I nipoti nati all'estero spesso non parlano più l'italiano, e i giovani italiani spesso non parlano l'inglese e tanto meno lo spagnolo.
Eppure oggi ci sarebbe la possibilità di fare in modo che dall'emigrazione – vissuta allora come dramma – si trasformasse in occasione di scambio. Scambio di esperienze, di conoscenze, di competenze. Il fatto che ci siano italiani in Argentina, in Australia, in America del Nord e del Sud, in Canada, ecc., non dovrebbe essere più visto come conseguenza di tempi difficili, ma come opportunità di crescita, da una parte e dall'altra.
Con gli italo-australiani Asiago e l'Altopiano dei 7 Comuni hanno già intrapreso da tempo un percorso di riavvicinamento, tramite viaggi organizzati, borse di studio che favoriscono l'interscambio fra studenti (molto di più si può fare, non necessariamente con grandi spese e non necessariamente implicando lo spostamento fisico delle persone).
Per quanto riguarda l'Argentina e il Sudamerica in generale, invece, i contatti sono più sporadici e affidati per lo più all'iniziativa delle singole persone.
Ma è questa la strada che bisogna battere, affichè il sapere di avere parenti e amici a Buenos Aires, Melbourne o Sidney, New York o Montreal o chissà dove altro ancora, non sia né fonte di struggimento né di indifferenza, ma di entusiasmo.
Cristiano Carli
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